Il Tribunale di Brescia mette sotto sequestro la Caffaro fotogallery

Disposto questa mattina il sequestro del complesso industriale di via Milano per disastro ambientale. La Procura: "E' un carcinoma nel cuore della città".

(red.) La Procura della Repubblica di Brescia ha disposto questa mattina di martedì 9 febbraio 2021 il sequestro del complesso industriale della Caffaro Brescia srl tra via Milano e via Nullo, dando corso a un’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brescia, Adriana Sabatucci.
I reati contestati sono inquinamento ambientale e deposito incontrollato di rifiuti speciali pericolosi, tra cui il cromo esavalente con riferimento al reparto “Clorato” della stessa Caffaro Brescia srl e per l’illecita diluizione delle acque di processo con quelle meteoriche e di raffreddamento.
Per Donato Antonio Todisco, considerato dal Tribunale co-amministratore di fatto della società, per Alessandro Quadrelli, legale rappresentante, e Alessandro Francesconi (consigliere delegato alle tematiche ambientali nonché direttore dello stabilimento) è scattata l’interdizione ad esercitare uffici direttivi di persone giuridiche ed imprese. Oltre a inquinamento ambientale e deposito incontrollato di rifiuti speciali pericolosi, i tre sono anche sospettati del reato di disastro ambientale per non aver garantito il funzionamento della barriera idraulica Mise che avrebbe dovuto impedire la circolazione degli agenti inquinanti.
L’ordinanza del Gip bresciano interviene su tre fenomeni di inquinamento tra loro interconnessi – suolo, sottosuolo e falda acquifera – direttamente riferibili all’attività produttiva svolta dalla Caffaro Brescia s.r.l, all’interno del Sito di interesse nazionale (Sin).

Il procuratore capo: “Caffaro è un carcinoma nel centro della città”
“Abbiamo rimesso in piedi un puzzle non facile da ricostruire. Caffaro è una questione difficile da comprendere, gestire e risolvere. È un carcinoma al centro della città e va estirpato”, con queste parole il procuratore capo di Brescia Francesco Prete ha presentato nella tarda mattinata alla stampa il sequestro del sito più inquinato di Brescia.
“Credo che la contestazione del reato di disastro ambientale”, ha aggiunto, “faccia ben capire la gravità della vicenda. Fino a gennaio scorso il superamento dei limiti di inquinante è stato molto alto. C’è sversamento di cromo esavalente, con valori 10-15 volte, con tracce che si vedono girando il sito”.

Caso Caffaro, il Tribunale di Brescia sequestra la fabbrica dei veleni

Indagini di Procura e Carabinieri forestali su segnalazione dell’Arpa
L’indagine sull’inquinamento del sito Caffaro, condotta dal Pubblico ministero Donato Greco e dal Procuratore aggiunto Silvio Bonfigli, è nata a seguito di due segnalazioni dell’Arpa di Brescia del giugno e del settembre 2019, in cui l’Agenzia regionale per l’ambiente rilevava, nel corso del periodico monitoraggio delle acque di falda condotto tramite piezometri installati in vari punti del sottosuolo, un innalzamento dei valori, rispettivamente di cromo esavalente e di mercurio della falda acquifera sottostante allo stabilimento Caffaro.
Aspetto centrale degli indagini, condotte con la collaborazione dell’Arpa e dei Carabinieri del Gruppo Forestale di Brescia, risultava essere il fatto che l’aggravamento della contaminazione non dipendeva da fenomeni di infiltrazione degli inquinanti già presenti nel sottosuolo a seguito dello storico disastro ambientale di fine anni ’90, ma fosse riconducibile alla presenza di nuove sorgenti di contaminazione primaria individuate, in particolare, nell’inquinamento dovuto al cromo esavalente che veniva ricollegato all’attività industriale della Caffaro Brescia Srl e nell’inquinamento da mercurio, che dipendeva dalla situazione di grave deterioramento ed abbandono del reparto cloro-soda della Caffaro srl in amministrazione straordinaria, reparto dismesso da oltre 10 anni.
Poiché il complesso aziendale della Caffaro Brescia s.r.1. sottoposto a sequestro insiste all’interno di un Sito di interesse nazionale (Sin), la cui gestione rientra nelle competenze del ministero dell’Ambiente, la Procura di Brescia ha nominato, quale custode dei beni sequestrati, un funzionario del ministero, anche allo scopo di monitorare l’evoluzione del fenomeno di inquinamento del sito.

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L’inquinamento da cromo esavalente: 10-15 volte oltre i limiti
Secondo il Tribunale il ciclo produttivo della Caffaro è fonte primaria di inquinamento del suolo, del sottosuolo e della falda acquifera sottostante all’azienda. Gli indagati, “procrastinando più volte gli interventi sollecitati dalle autorità di controllo e dal ministero dell’Ambiente”, sono accusati di “aver provocato una compromissione ed un deterioramento significativo e misurabile di estese porzioni del suolo e del sottosuolo dello stabilimento industriale Caffaro di Brescia, contaminate da cromo esavalente con valori di concentrazione di gran lunga superiori (10-15 volte) ai limiti di legge, nonché un aggravamento significativo del pregresso inquinamento da cromo esavalente della falda acquifera sottostante lo stabilimento con probabile contaminazione al di fuori del perimetro aziendale”.
I carotaggi effettuati nel corso delle indagini hanno confermato il rapporto tra l’innalzamento dei valori di cromo esavalente nella falda acquifera e l’esercizio dell’attività produttiva della Caffaro Brescia, attività condotta a mezzo di impianti inadeguati, su suoli non sufficientemente impermeabilizzati. Già da ottobre dello scorso anno, peraltro, sulla base degli stessi accertamenti, la Provincia di Brescia sospendeva l’autorizzazione concessa all’impresa, determinando la sospensione dell’attività produttiva della Caffaro Brescia s.r.l.

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L’inquinamento delle acque a valle, centinaia di volte oltre i limiti
La deficitaria gestione del Mise (Messa in sicurezza d’emergenza), secondo il Tribunale di Brescia sta determinando due effetti devastanti: in primo luogo, l’inquinamento – con valori di centinaia di volte superiori ai limiti consentiti – del reticolo di acque superficiali a valle di Caffaro in ragione dello sversamento di prodotti inquinanti, tra cui Pcb, dallo scarico S2 che recapita l’acqua nella roggia, la quale si collega a sua volta a due vasi – Garzetta e Sorbanella – che alimentano canali a uso irriguo di una vasta zona a sud-ovest del Comune di Brescia, sino a Castel Mella e Capriano del Colle (inquinamento orizzontale). Inoltre, l’inquinamento dell’acqua di falda, che scorre verso valle, a partire dal sottosuolo dello stabilimento Caffaro con propagazione dell’inquinamento sino a Flero e Poncarale, molto oltre il perimetro del Sin, a causa dell’insufficiente pompaggio idraulico dei sette pozzi presenti nel sito (inquinamento verticale).
Il Mise è una barriera creata nei primi anni del Duemila con lo scopo di trattenere lo storico inquinamento Caffaro all’interno dei sottosuoli e della falda acquifera sottostanti allo stabilimento ed evitare una propagazione della contaminazione in attesa della bonifica. Consiste in un sistema di sette pozzi di emungimento: il cono di depressione creato dall’attività di pompaggio dovrebbe evitare lo scorrimento della falda; inoltre, l’acqua pompata dovrebbe essere decontaminata mediante appositi impianti di abbattimento per poi confluire nel ciclo industriale della Caffaro Brescia s.r.l. ed essere scaricata nelle acque superficiali assieme ai reflui industriali.

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Il Tribunale: l’azienda si era impegnata a non aggravare il disastro
A partire dal marzo del 2011 l’operatività e l’efficienza del Mise avrebbe dovuto essere garantita dalla Caffaro Brescia s.r.l., la quale, nel subentrare alla Caffaro Chimica s.r.l. nella gestione degli impianti produttivi, assumeva per contratto l’obbligo di pompaggio della falda nonché quello di garantirne l’efficienza e l’efficacia. Questi obblighi non sarebbero stati correttamente adempiuti dai dirigenti della Caffaro Brescia s.r.l.
Nell’ordinanza, che sul punto fa proprie le argomentazioni della Procura, viene evidenziato come l’Autorizzazione integrata ambientale (Aia) rilasciata a Caffaro Brescia s.r.l. nel 2011, e integrata con maggiori restrizioni nel 2015, permettesse alla società di proseguire nella propria attività chimica a condizione che, attraverso l’implementazione e il mantenimento in efficienza del Mise, fosse garantito il contenimento del disastro ambientale all’interno del Sin e, ovviamente, il non aggravamento dell’inquinamento con creazione di nuove sorgenti di rifiuti dannosi per l’ambiente.
La Caffaro Brescia s.r.l. non avrebbe ottemperato agli impegni assunti adducendo più volte come alibi le problematiche ambientali causate dalla precedente gestione. Per il Gip del Tribunale di Brescia, tuttavia, proprio dalla firma dei contratti stipulati con Snia nel 2011, Caffaro Brescia s.r.l., scegliendo di condurre la propria attività produttiva a Brescia, assumeva la gestione di un complesso aziendale già gravemente compromesso, assumendosi al contempo l’impegno di contenere e non aggravare il pregresso disastro.
L’ordinanza indica che questo impegno “è stato assunto da Caffaro Brescia s.r.l. non solo nei confronti della propria controparte contrattuale, ma anche nei confronti dell’amministrazione che aveva rilasciato l’Autorizzazione integrata ambientale, necessaria per operare, nonché, e vien da dire soprattutto, nei confronti di una collettività di persone da tempo radicata sul territorio, già gravemente menomata nel proprio diritto a vivere in un ambiente salubre”.

Caso Caffaro, il Tribunale di Brescia sequestra la fabbrica dei veleni

I livelli di Pcb nel 2019 e 2020 sono del 500% oltre il limite consentito
La Provincia di Brescia, nel 2016, aveva fissato un limite di 0,02 mg/1 annui di Pcb allo scarico della Caffaro Brescia s.r.l. I recenti risultati dei campionamenti effettuati allo scarico hanno dato atto di un superamento di tale limite, sino al 500 per cento, per gli anni 2019 e 2020, segno tangibile dello scarso funzionamento della capacità disinquinante della barriera idraulica che l’impresa aveva l’obbligo di implementare.
Il Gip di Brescia ha ravvisato nella deficitaria gestione della barriera idraulica da parte della Caffaro Brescia s.r.l. e dei suoi amministratori il reato di disastro ambientale facendo proprie le considerazioni della Procura, sottolineando, ai fini dell’integrazione del reato contestato, la rilevante estensione della contaminazione sino a 20 km oltre il punto d’origine dell’inquinamento, nonché l’esposizione della pubblica incolumità “al pericolo di danni permanenti per la salute dei soggetti che risiedono a sud dello stabilimento”.

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