‘Ndrangheta in Veneto, un arresto nel bresciano

L'artigiano Enrico Borrini, di San Felice, avrebbe ricevuto istruzioni su come fare fatture false e muovere denaro sul conto di un calabrese coinvolto.

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    (red.) Nella giornata di lunedì 22 gennaio la Direzione Investigativa Antimafia di Padova, coordinata dalla procura veneta e insieme ai carabinieri, Polizia di Stato e Guardia di Finanza nella fase esecutiva, ha arrestato 16 persone in tutta Italia. Sette di queste sono state condotte in carcere e nove ai domiciliari. Tra loro, nella detenzione in casa, è finito anche l’artigiano bresciano Enrico Borrini di 52 anni, residente a San Felice del Benaco, sul lago di Garda.

    Quella messa in atto e alla quale ha partecipato anche la Dia di Brescia, è l’operazione “Fiore Reciso” che ha fermato un’associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio, autoriciclaggio, fatture false e traffico di sostanze stupefacenti. Secondo gli inquirenti, quanto guadagnato dal riciclaggio veniva speso in droga e armi. Tre degli arrestati, tra l’altro, erano già finiti in manette in un’operazione dalla direzione distrettuale antimafia di Catanzaro. Stando all’accusa, tre fermati in Veneto avrebbero dato un aiuto logistico ai gruppi di ‘ndrangheta, permettendo loro di muoversi anche negli appalti pubblici e attività commerciali della zona.

    Sequestro anche di oltre 800 mila euro e uno preventivo dello stesso importo verso la filiale della Banca Popolare di Vicenza di Vigonza, in provincia di Padova. Tra gli arrestati, proprio anche l’ex direttore della sede Federico Zambrini che avrebbe aiutato Antonio Bartucca, piccolo imprenditore calabrese legato alla ‘ndrangheta, a emettere fatture false e a muovere un centinaio di migliaia di euro nonostante avesse un reddito di soli 17 mila. Il bresciano coinvolto, Borrini, avrebbe preso istruzioni da Bartucca per realizzare le fatture false e muovendo bonifici verso le carte prepagate ricaricabili intestate allo stesso calabrese.

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