Privacy: quando è lecito il diritto all’oblio

Quando mi hanno proposto di scrivere un articolo di interesse legale per QuiBrescia.it mi sono subito chiesta quale argomento avrei potuto trattare per raccogliere l’interesse e la curiosità di un pubblico vasto, eterogeneo e non specialistico come quello che frequenta un quotidiano online. Lo spunto mi è arrivato proprio dal mezzo di diffusione del quotidiano, oltre che da alcuni fatti di cronaca e da un crescente interesse per i temi delle nuove tecnologie e della privacy.

Quello che viene definito “diritto all’oblio” è infatti un tema attuale e controverso che si snoda proprio tra le maglie della riservatezza e delle nuove tecnologie e che, oltre a trovare un fondamento normativo nel Codice Privacy, è stato plasmato nelle sue linee attuali da una serie di pronunce dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali, della Corte di Cassazione e della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Alla luce di queste pronunce possiamo definirlo l’interesse di ogni persona, fisica e giuridica, a non vedere pubblicata in perpetuo una notizia che può danneggiarne la reputazione.

Sappiamo tutti infatti come funzionano internet e, in particolare, i motori di ricerca. Digitando il nome di una persona si ottengono quali risultati, grazie a caches e mirrors, tutte le pagine pubblicate in Internet anche molto tempo prima e contenenti il nominativo cercato, sicché un soggetto, a carico del quale sia stata, pur legittimamente, pubblicata una notizia in qualche modo lesiva della reputazione, si trova esposto a tempo indeterminato al contenuto della stessa e quindi alla lesione dell’onore che essa comporta, e ciò tramite il ricordo che la rete ne conserva. Casi emblematici sono quelli della notizia di una persona indagata per un reato grave che continua ad essere proposta su internet nonostante la stessa persona sia stata poi giudicata innocente, o quello dell’impresa che vedeva sempre anteposta alla descrizione della propria attività, nei risultati forniti dal motore di ricerca, la notizia di alcune sanzioni amministrative ricevute anni prima, con conseguente ed evidente pregiudizio all’immagine nei confronti della potenziale clientela. Proprio questo è stato il caso pilota con la cui decisione l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali ha individuato e indicato alcuni accorgimenti tecnici per impedire l’indicizzazione da parte dei motori di ricerca delle pagine web di archivi di notizie. Il diritto all’oblio infatti entra, per così dire, in conflitto con il diritto di cronaca e il diritto “alla memoria”, cioè alla conservazione storica delle notizie, e con questi va bilanciato caso per caso, tenendo conto di una serie di fattori, tra cui la presenza di fatti sopravvenuti e il trascorrere del tempo. Vi sono poi da considerare l’interesse economico del gestore del motore di ricerca e quello del pubblico ad accedere all’informazione, interessi sui quali però, il linea di principio, il diritto all’oblio prevale.

In forza del Codice Privacy e dell’elaborazione giurisprudenziale di cui  si è dato conto quindi ciascuno può chiedere, ed eventualmente ottenere, l’aggiornamento e la rettifica di informazioni pubblicate sul suo conto, nonché la cancellazione, il blocco e la trasformazione in forma anonima dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati. Qualora la richiesta non venga accolta dal responsabile del trattamento, l’interessato potrà proporre ricorso al Garante o all’autorità giudiziaria. Sono stati molti negli ultimi due anni i ricorsi proposti al Garante per la tutela del diritto all’oblio. Il Garante talvolta li ha accolti, talvolta respinti, tenuto conto dei diversi diritti che, come si diceva prima, entrano in conflitto col diritto all’oblio e con esso vanno bilanciati caso per caso.

Avvocato Elisabetta Cartapani, iscritta all’Ordine degli Avvocati di Brescia.

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