Lettere al direttore

Autonomia Valcamonica, giusta la consultazione popolare

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    valcamonica naquaneIl Presidente della Provincia, Pierluigi Mottinelli, sostiene in modo del tutto convincente le ragioni d’una riforma autonomista, nonché il grande valore della “specificità” della Valcamonica, come parte costitutiva della Provincia di Brescia. E non già di quella di Sondrio. Con cui ha poco nulla da spartire da un punto di vista storico e culturale. Come peraltro anche nell’organizzazione dei servizi territoriali, se non per il passo dell’Aprica da valicare o per il traforo del Mortirolo ancora (purtroppo) da fantasticare.
    Al punto che Mottinelli, contro i vari tentativi di staccare dal bresciano la Valcamonica, ritiene opportuno “prevedere almeno un pronunciamento dei cittadini della Valle Camonica”. Se non fraintendo, nientemeno che un Referendum consultivo. O giù di lì.
    Bene. Personalmente ritengo sia una scelta coraggiosa e condivisibile, la sua. E, a fronte d’una qualche follia istituzionale e di mediocri interessi personali, sia una scelta giusta per recidere il nodo. Scelta peraltro possibile in base all’art. 52 dello Statuto della Regione Lombardia e all’art. 7 del nuovo Statuto della Provincia.
    Una cosa è del tutto chiara. Tramontata l’idea originaria (gennaio 2015) dell’unico Cantone Montano della Lombardia del nord (dall’Alto Garda fino a Lecco e a Como!) e al di là di demagogiche ambizioni e di pasticci tra pezzi del PD e leghisti, non c’è spazio alcuno per una “Provincia camuna”. O per un autonomo “Ente di Area Vasta”, che dir si voglia.
    Si prevede – in base alla legge Derio – l’unificazione in macro-aree, come già prefigurato con le attuali Agenzie sanitarie (ATS), di Lodi con Milano, di Varese con Como, di Mantova con Cremona, della Brianza con Lecco, mediamente d’un milione di abitanti in su. Si passa da 12 a 7 “nuove Province”, più la Città metropolitana milanese. Resta da capire come si possa sostenere la costituzione d’una Area Vasta in Valcamonica di 90 mila abitanti.
    L’alternativa è chiara. A maggior ragione dopo i recenti incontri del Presidente Maroni a Brescia. O una scelta per la Provincia di Brescia, con lo spazio riconosciuto di “autonomia speciale”, o il passaggio di armi e bagagli (sanità, trasporti locali, ciclo idrico, viabilità, turismo, pianificazione territoriale, scuole superiori…) con Sondrio. Come già avvenuto, e con i problemi che stanno già esplodendo, con il trasferimento della Valcamonica nell’Agenzia (ATS) della Valtellina.
    “Terze vie” non vi sono. Desiderate o meno, non fa differenza. E non dipende nemmeno dalle Regioni. Altrimenti si ritorna all’andazzo precedente. Ieri con la spropositata moltiplicazione di micro feudi provinciali (vere e proprie slot machine mangiasoldi). Oggi col tentativo di replicare il miracolo dei pani e dei pesci per i futuri Enti di Area Vasta.
    Il vero problema delle cento Province sta non nel venir meno della necessità d’un ente intermedio tra Comuni e Regioni, ma in una ventina di Province fasulle (create per politiche e finanze allegre) che meritavano solo d’essere soppresse, perché hanno procurato l’emorragia nel sistema.
    Chi oggi s’intestardisce a sostenere l’Ente di Area Vasta camuno, sta semplicemente lavorando (consapevole o meno) per il definitivo mantenimento dell’intera Valcamonica con la Valtellina. “Mantenimento”, insisto, perché l’azzonamento delle ATS è già considerato da Maroni la matrice dei futuri “Cantoni”. Ed è proprio ciò che va cambiato nelle prossime settimane.
    La voce dev’essere non solo presa da una ristretta ed autoreferenziale “Casta”, quand’anche “montana”. Ma ritengo debba esser data, come mi pare intenda il Presidente Mottinelli, su un tema di così strategica importanza anche, e soprattutto, ai cittadini e agli amministratori locali dell’intera Valle Camonica. Con referendum od altre forme di ampia consultazione.
    Infine una nota critica. Parliamo della Valcamonica, dell’Adamello. Confesso la mia sorpresa per il torpore, la troppa indifferenza a fronte della gravità di tale decisione. Quasi che la vicenda fosse il disbrigo d’una pratica burocratica e non, invece, l’immotivata amputazione d’una “brescianità”. In questi mesi di retorica evocata persino come un “orgoglio”. Quale? Quello di cantastorie ammutoliti da Maroni o delle nostre luminarie a Milano? Ma indifferente a fronte d’uno strappo nell’identità più profonda che si è costruita con la storia, il lavoro e la cultura dell’intero nostro territorio provinciale.

    Claudio Bragaglio

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