Lettere al direttore

50 anni e non sentirli: auguri camping Aprica

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    logo50°(red.) Circa 15.500 giorni di apertura, 160.000 arrivi, 650.000 presenze. Più o meno 1.800 mensilità pagate ai dipendenti, 4/500.000 euro di IVA versata, 120.000 euro di assicurazione infortuni pagata (con un solo, piccolo infortunio costato meno di 100 euro all’istituto). Molte altre imposte-tasse-balzelli versate (sia come numero che come importi), alcuni milioni di investimenti straordinari nel corso degli anni, un numero incalcolabile di ore di lavoro non remunerate dei soci. A onor del vero, anche tre discreti contributi pubblici (ex Legge 40, ex Legge Valtellina, ex Legge 36), ma anche alcuni non erogati pur in presenza di tutte le condizioni per fruirne. Come l’ultimo, rifiutato dalla CCIAA perché la domanda (inviabile solo telematicamente) dalla montagna arrivò alla bassa 150 secondi dopo l’esaurimento de fondi! Sono, in estrema sintesi, i numeri di Camping Aprica, che a giugno compie cinquant’anni.
    Era, infatti, l’inizio della lontana estate 1966 quando la struttura ricettiva all’aria aperta con simbolo il faunetto di San Pietro di Corteno Golgi, situata al bivio per Pian di Gembro, apriva … la sbarra d’ingresso, allora in Via Valeriana. Il dinamico Sergio Bassini da Cazzago San Martino, già da un paio d’anni gravitava, in compagnia del mediatore Martino Rodondi, intorno alla baita dell’agricoltore Battista Stefanini, nel tentativo di convincerlo ad affittargli quel rigoglioso angolo di paradiso, dove impiantare un campeggio estivo. Bassini aveva individuato nell’area graziosamente attraversata dall’Ogliolo, con la dolce collina alberata al centro, il posto naturalmente più bello e comodo per la sua idea imprenditoriale.
    Battista, che disegnava con la falce fienaia vere e proprie spirali d’erba giganti nella fertile piana verde, screziata dal rosa dell’invasiva bistorta, era prudente e pretese tutte le garanzie che il terreno avuto dai suoi avi non gli sarebbe stato tolto con qualche subdola manovra. Ottenne un contratto di 300.000 lire d’affitto annuo per dieci anni e il diritto-dovere di raccogliere il fogliame e la legna secca (implicitamente anche i porcini e i frutti di bosco), oltre a falciare per bene il grande prato a inizio estate e recuperare l’ottimo e abbondante fieno per la sua piccola azienda agricola, consistente in non più di dieci capi bovini e tutta la bassa corte che si usava ai tempi: alcune capre, un piccolo gregge di pecore, galline, mula, maiale, cane. Dovette però prendersi la briga di fornire l’acqua potabile: Si armò quindi d’iniziativa e chiese la concessione di una bella sorgente (ancora non esisteva in zona l’acquedotto comunale), situata a 250 metri di quota più in alto, proprio su un terreno di sua proprietà. La ottenne, anche se la dovette dividere con il commendator Carlo Comerio, che proprio nel 1965 aveva progettato di costruire l’omonima Colonia Bustese. In ogni caso, in virtù del suo anticipo, Battista ebbe i 3/5 della disponibilità d’acqua, mentre i 2/5 furono concessi al Comerio. C’era ora da realizzare la vasca di presa e, soprattutto, la condotta di ca. 3.000 metri attraverso il fianco della montagna, fino al campeggio. Ne seguirono febbrili trattative coi proprietari dei terreni da attraversare, che nostro padre accontentò tutti nelle loro pretese, regalando almeno in un caso a un povero contadino un bigliettone da diecimila extra.
    Lo scavo per la posa della condotta fu realizzato interamente a mano nell’estate 1965 con l’aiuto di un operaio di Megno, che impiegò per l’operazione quasi tre mesi. Così Battista, un bel giorno, partì col suo motorino verde 48 cc da Aprica alla volta di Dalmine, tornando a casa solo a tarda sera. Tempo una settimana e giunse un ansimante camion pieno di tubi lunghi sei metri, 8 cm di sezione utile, 60 kg. circa l’uno. La strada delle Bratte non era ancora carrozzabile e ci toccò portarli a spalla, in coppia, uno alla volta su fino alle Fontanacce e poi man mano più in basso, lungo l’intero scavo. Fu anche necessario realizzare, a metà dislivello, un casello di interruzione della caduta, perché diversamente la forza dell’acqua avrebbe rotto le saracinesche. Bassini poté così iniziare la sua avventura, e anche la nostra. Realizzò i primi rudimentali vialetti, due piccoli blocchi di servizi igienici, alcuni bungalow spartanissimi, un ampio locale bar-ristorante-market: tutti prefabbricati in materiale leggero. Scavò anche alcune piazzole, sebbene le più belle fossero in realtà state già scavate qualche anno prima, nel bosco sulla collina, da un battaglione di alpini, che avevano eletto a loro campo estivo proprio il futuro campeggio. In questo caso non v’erano state difficoltà di cessione d’uso temporaneo all’Esercito, poiché l’ex artigliere alpino Battista, reduce di Russia, conservava un orgoglioso spirito di corpo. I soldati ricambiavano con qualche bella marmitta di pastasciutta a giorni alterni.
    Dopo dieci anni, Bassini lasciò, lautamente ricompensato per via del blocco degli affitti al quale aveva minacciato di ricorrere se non gli si fossero stati pagati 40.000.000 di lire sull’unghia per la cessione delle semplici strutture da egli realizzate e la buonauscita. E così, con macerazione, fu. Il resto è storia nostra, della mia famiglia e mia; dei nostri collaboratori e degli affezionati ospiti-amici. Grazie!

    Antonio Stefanini

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