Lettere al direttore

Confindustria e Governo all’opera per minare il lavoro

gallettidamianoI contratti nazionali scaduti o in scadenza, dal pubblico impiego ai metalmeccanici fino a quelli che riguardano i chimici e gli alimentaristi, riguardano in Italia milioni di persone, decine migliaia delle quali in provincia di Brescia. La questione è di estrema attualità, come dimostrano anche le recenti dichiarazioni del presidente di Confindustria Squinzi a proposito della necessità di aprire un confronto che riduca il peso della contrattazione nazionale e aumenti invece quella aziendale per, così ha detto, «tenere conto del mondo che è cambiato».
L’affermazione ha un certo fascino: chi, d’altronde, non è d’accordo sul fatto che il mondo stia cambiando? Prima di lasciarci ammaliare dai facili entusiasmi è bene capire quale sia la strada nuova e, allo stesso tempo, lo stato di quella che si vuole abbandonare. Oggi, la fonte è Federmeccanica, fatto 100 il salario, il 70% è dato dal contratto nazionale, il 13% dalla contrattazione di secondo livello, il 12% è salario non contrattato (superminimi, premi individuali e via dicendo, un dato in crescita peraltro e che negli anni ha fatto già perdere autorità salariale al sindacato a riguardo) e il 5% è dato dagli scatti di anzianità.
Nella contrattazione di secondo livello, la fonte è sempre Federmeccanica, le aziende coinvolte sono circa il 30% del totale. Sette imprese su dieci, insomma, non hanno contratti di secondo livello. Domanda: nel momento in cui si accresce il peso della contrattazione aziendale, cosa accadrebbe in queste sette imprese? È previsto un obbligo di contrattazione di secondo livello o, come temiamo, semplicemente i lavoratori e le lavoratrici si vedrebbero ridotto il peso del contratto nazionale?
La proposta di Squinzi è in realtà molto rigida, tutt’altro che legata al mondo che cambia. Riduce semplicemente il peso del contratto nazionale, vincola tutto (a posteriori) all’inflazione e stabilisce regole precise sul contratto aziendale, togliendo addirittura autonomia tra le parti. La minaccia del Governo, «se non vi mettete d’accordo voi, lo facciamo noi», oltre a essere una inedita e indebita invasione di campo, preoccupa. Il Governo, come ha dimostrato anche con la recente vicenda del Jobs Act, è infatti in questa partita tutt’altro che neutrale. Diversamente, il Governo potrebbe essere più credibile se finalmente sbloccasse i contratti nel pubblico impiego fermi da tempo immemore. Purtroppo, anche in questo caso il Governo sta lavorando in altra maniera, proponendo addirittura di introdurre un salario minimo che, così come configurato, andrebbe a sovrapporsi o a sostituirsi al contratto nazionale. La realtà di questi anni, come ben sanno i lavoratori e le lavoratrici, è che per la gran parte delle persone il potere d’acquisto è diminuito e, oggi, con le proposte di Confindustria, si punta a una ulteriore stretta.
Noi, al contrario e non per questo sentendoci vecchi, riteniamo che il valore del contratto nazionale vada difeso. Convinti che questo sia strumento necessario per la difesa del potere d’acquisto e di condizioni normative uguali per tutti i lavoratori. Le stesse imprese dovrebbero essere interessate alla sua difesa, fosse anche solo per evitare inevitabili derive di dumping salariale a livello territoriale. Le uscite sul welfare aziendale fatte da Confindustria, in un contesto produttivo nel quale la dimensione media delle imprese è di pochi addetti, sono infine solo fumo negli occhi.
La Fiom Cgil ha proposto contratti ogni tre anni per la parte normativa e ogni anno per quella salariale, un modo questo per intervenire e prevedere la situazione in modo più vicino alla realtà. Una proposta, questa, legato non solo all’inflazione e alla produttività (verificabile solo a posteriori), ma anche al comparto produttivo e allo stato generale del Paese. Si tratta, peraltro, non di una invenzione della Fiom, ma di un modello già operativo in Germania. Se la crescita del Paese passa da innovazione e conoscenza, il lavoro non può essere svalutato ulteriormente. E se la strada è quella della tassazione, che questa avvenga detassando in modo significativo gli aumenti previsti dalla contrattazione nazionale: in questo modo, interessata dal provvedimento sarebbe l’intera platea dei lavoratori e non solo la parte minore che riesce a fare contrattazione di secondo livello.
Le proposte di Confindustria rasentano addirittura la provocazione quando, come sta avvenendo per il rinnovo del contratto dei chimici, gli industriali arrivano al punto di chiedere indietro i soldi del precedente rinnovo (circa 80 euro) dovuti a un tasso di inflazione mai raggiunto. la strada, difficile, è quella che valorizza il lavoro e gli sforzi di innovazione. Le proposte di Confindustria e Governo vanno invece nella strada opposta. È bene saperlo perché, come si dice in queste occasioni, «se tu non ti occupi di politica, sarà lei ad occuparsi di te».

Damiano Galletti, segretario generale Camera del Lavoro di Brescia

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