L’omosessualità? “un disagio identitario”

Lo sostiene Massimo Gandolfini, direttore del dipartimento di neuroscienze e primario di neurochirurgia alla Poliambulanza di Brescia.

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    coppia-gay(red.) L’omosessualità? Non è una variante naturale del comportamento umano, come afferma l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ma un “disagio identitario” che va corretto dall’educatore che deve spingere il gay verso l’eterosessualità.
    Lo ha sostenuto Massimo Gandolfini, direttore del dipartimento di neuroscienze e primario di neurochirurgia alla fondazione Poliambulanza di Brescia, durante un convegno organizzato da Comitato Articolo 26, associazione che da tempo si schiera contro quella che definiscono “teoria del gender”. La stessa associazione che durante le audizioni per la nuova legge sulle unioni civili in Senato, paragonò il vincolo affettivo tra due persone dello stesso sesso a quelle che i padroni hanno verso i propri cani. Lo riferisce L’Espresso.
    Durante la conferenza “Sapere per Educare”, organizzata dal Comitato Articolo 26, il professor Massimo Gandolfini, direttore del dipartimento di neuroscienze e primario di neurochirurgia, ha affermato che gli omosessuali che tentano il suicido vivono quello che lui definisce “disagio identitario” e che per questo l’educatore debba intervenire per correggerlo.
    Il Comitato Articolo 26 era già noto per aver paragonato il vincolo affettivo tra due persone dello stesso sesso a quello che ha il padrone per il proprio cane .
    Anche i suicidi tra persone gay, spesso adolescenti, per Gandolfini sono riconducibili al suddetto “disagio identitario”. Meglio, quindi, indirizzarli verso l‘eterosessualità.
    “L’incidenza suicidaria della popolazione gay-friendly- ha detto il professore- è molto superiore e si dice che i suicidi sono maggiori perché la società non è accogliente. Per sfatare questa bugia basta andare a vedere i dati del Belgio e della Scandinavia. L’incidenza suicidaria in questi Paesi che sono gay friendly rimane molto alta perché in fondo a tutto questo ci sta un disagio identitario. Nella misura in cui una persona si sente disagiata verso se stesso, non è poi così facile vivere”.
    “Un eventuale “disagio identitario”- secondo Gandolfini-  va affrontato nella prospettiva del supremo interesse del bimbo. Lo scopo dell’educazione non è scoprire l’orientamento sessuale del bambino per poi indirizzarlo da quella parte perché la sua scelta è libera. E se scopriamo una cosa che si chiama “disagio identitario”, lo scopo dell’educatore non è quello di correre dietro al disagio identitario ma è quello di cercare di indirizzare verso una coerenza questo disturbo verso il proprio psichismo”.

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