Anfiteatro Romano, leggenda o verità?

Nessuno lo ha mai trovato, eppure nell'antica Brixia c'erano gladiatori e quegli strani edifici lungo il Garza...

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46 Anfiteatro Arlesdi Sergio Re
Parlare di un anfiteatro bresciano è un po’ come mettersi alla ricerca dell’araba fenice. La sua esistenza, da tutti accettata sulla base di motivazioni culturali, non è mai stata suffragata da alcun ritrovamento e l’ipotesi che sorgesse nella zona sud della città, sulla via cremonese appena fuori dalle mura, si appoggia probabilmente su quella pianta topografica dei monumenti romani che è stata redatta nel ‘600 dal sempre prolifico e fantasioso Ottavio Rossi.
Per la verità la documentazione da lui redatta riporta in quella zona un circo (che, sia pur strutturalmente simile, è cosa comunque assolutamente diversa da un anfiteatro), ma — sempre che ci fosse qualche ritrovamento — si potrebbe incominciare a discuterne. D’altro canto è vero che un anfiteatro a Brescia ci starebbe bene, sia per il lustro che ne deriverebbe al municipio, ma soprattutto perché permetterebbe di giustificare alcune iscrizioni che da duecento anni tormentano il sonno di storici ed archeologi.
Insomma, c’era o non c’era questo anfiteatro? Perché non se ne trova traccia, ma alcune epigrafi parlano chiaro. Conosciamo uno Iantinus, reziario (combattente armato di rete e tridente), morto al quinto combattimento all’età di ventiquattro anni e due mesi, lasciando la moglie sconsolata. Poi sappiamo di Smaragidus, Antigonus, Volusenus, gladiatori tutti nominati su altrettante lapidi funerarie nelle quali si precisano le rispettive funzioni all’interno dei combattimenti. Altre lapidi ci assicurano che a Brescia c’erano un Doctor, istruttore dei gladiatori, e un Munerarius (pressappoco un impresario che organizzava i giochi a sue spese). Dulcis in fundo abbiamo anche quel Publius Atilius Philippus di cui sappiamo che, fedele alle buone regole dell’evergetismo — piuttosto in voga tra i paperoni del tempo — regalò alla città qualcosa che incomincia per Am… e qui la lapide è spezzata, ma il Labus senza por tempo in mezzo interpretò il dono come un Amphiteatro.
44 Ipotesi RobecchiInsomma l’anfiteatro a Brescia ci starebbe proprio bene. Lo dice anche Robecchi e questa volta da buon ricercatore, basa l’affermazione su un ritrovamento topografico, labile, ma pur sempre concreto. L’ipotesi parte dall’osservazione di una mappa catastale di metà Ottocento, nella quale i fabbricati a nord della Loggia (oggi scomparsi per lasciare spazio a Largo Formentone) assumevano una configurazione particolare a foggia ellittica, che sembrava assecondare il corso delle gradinate di un anfiteatro.
Il fatto è passato inosservato per molto tempo, ma esiste ampia documentazione che certifica il riutilizzo di monumenti romani come base di appoggio per edifici medioevali. Ed è perlomeno singolare la coincidenza bresciana, se raffrontata ad esempio con la disposizione topografia di alcuni fabbricati di Firenze, costruiti sul diroccato anfiteatro, o — più convincente ancora — è la litografia di un insediamento di Arles in Francia, che sembra toglierci ogni dubbio.
Data per buona l’ipotesi di Robecchi, scopriamo che longitudinalmente l’anfiteatro sarebbe stato attraversato dalle acque del Garza, e questo avvalora la sua tesi, dapprima perché il fiumicello continuò a scorrere in quella zona almeno fino al 1865 e poi perché la sua presenza potrebbe essere il vero motivo per cui l’eventuale anfiteatro potrebbe essere stato costruito proprio in quella zona della città. L’acqua era infatti un elemento indispensabile per l’anfiteatro. Non solo serviva per allagare la scena nei combattimenti navali (uno dei giochi prediletti dalle folle), ma per la sua irrinunciabile funzione igienica che permetteva rapidamente di pulire l’arena una volta finiti i combattimenti.
Il Garza stesso poi, sarebbe stato anche l’artefice della distruzione dell’anfiteatro; le piene dirompenti — testimoniate storicamente fino ad anni recenti — avrebbero infatti demolito la curva meridionale, poiché il lato concavo offriva minore resistenza meccanica alla irruenza delle acque, mentre il semiellisse di settentrione avrebbe resistito più a lungo, fino a divenire la base di quegli edifici già ricordati nella mappa di metà Ottocento.
45 Anfiteatro FirenzeLa ricostruzione topografica di Robecchi (secondo il quale i resti dell’anfiteatro sarebbero per metà sotto la Loggia e per l’altra metà sotto il Largo Formentone) ipotizza un edificio ellittico, il cui asse maggiore dovrebbe essere orientato da nord a sud (per una lunghezza di 131 metri) e l’asse minore (orientato est-ovest) dovrebbe raggiungere i 93 metri. Le misure così definite sono peraltro congruenti con quelle di anfiteatri ancora oggi esistenti (Verona e Pola). Per completezza bisogna poi riferire che nel 1970, durante lo scavo di Piazza della Vittoria per la realizzazione dell’autosilo, immersi nel terreno alluvionale, sono stati rinvenuti conci di pietra sagomati ad arco di ellisse che potevano collimare con tutte queste misure.
Che poi l’intero anfiteatro sia scomparso senza lasciar traccia di sé, non è cosa che ci meravigli troppo. Nei secoli bui, quando la città decadde, sopportando invasioni e un autentico crollo economico e istituzionale, i marmi degli antichi monumenti romani vennero letteralmente depredati e riutilizzati come materiale da costruzione. Chi non ci credesse faccia una passeggiata in Piazza della Loggia e si soffermi ad ammirare la facciata sud della piazza, quella che incorpora la quattrocentesca Loggetta, vi ritroverà incastonato un vasto assortimento di pietre romane, ancora riconoscibili dalle iscrizioni latine.
E questi non furono che i casi più fortunati, molti marmi invece finirono miseramente nelle fornaci (la storia ci ricorda che esisteva un locus calcarie ancora nel 954 nella zona della attuale Chiesa di Santa Maria Calchera e che nel 1935 ne venne alla luce un altro risultato attivo addirittura fino al 1071 nella zona di Piazza del foro) per la produzione di calce da utilizzare nelle nuove costruzioni.

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