Lettere al direttore

«Dibattito sulla famiglia: banco di prova per la politica democratica»

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    famigliaIn giorni come questi, che vedono l’acuirsi di divisioni e conflitti tra gli uomini in base alle verità di cui ritengono di essere portatori, cresce in noi la convinzione che, se vogliamo lasciare ai nostri figli e nipoti un mondo vivibile, dobbiamo impegnarci a garantire le migliori forme possibili di convivenza tra le persone, cercando e valorizzando ciò che ci unisce, piuttosto che ponendo l’accento su quel che ci divide. Siamo convinti che una democrazia moderna, e ancor più una democrazia futura, debba promuovere una cultura del confronto, dell’incontro, del dialogo e dell’ascolto fra le differenze che la compongono. Parole sulle quali apparentemente siamo tutti concordi (chi oggigiorno è disposto a negarle?), ma nella pratica sono molto difficili da rendere concrete poiché le convinzioni personali, spesso, sono percepite come l’unico possibile e giusto modo di leggere e valutare la realtà. La realtà che tutti viviamo oggi è assai complessa ed è inevitabile cercare di organizzarla entro un sistema di convinzioni. La sfida della democrazia è di organizzare le differenti convinzioni in un apparato pubblico di garanzia, tale da permettere a tutti di sentirsi rappresentati, senza calpestare i diritti degli altri, ed esserlo a loro volta.
    I fatti di Parigi dei giorni scorsi ci interrogano prepotentemente su questi temi, sulle diverse interpretazioni e valutazioni che possiamo dare ai rapporti tra le religioni e le istituzioni (sociali oltre che politiche) nelle moderne società multiculturali. Sappiamo che una delle sfide della modernità è stata proprio il superamento dello stato etico e l’introduzione dell’approccio laico e del metodo scientifico come strumenti di analisi e comprensione della realtà, al fine di governarne i conflitti e di promuovere i diritti. Stiamo parlando di laicità, sì, parola troppo spesso misconosciuta o equivocata, anche qui da noi, nel ricco e progredito occidente. Come la pensiamo noi, la laicità è la massima garanzia attraverso la quale anche le fedi religiose possono trovare rispetto e tutela, perché essa permette che ogni convinzione abbia piena cittadinanza. Laicità è innanzi tutto un atteggiamento della mente, attraverso il quale noi riusciamo a porci un passo a lato delle nostre stesse convinzioni per guardarle con occhio critico, pronto al confronto. Laicità è essere aperti anche a novità, se queste costituiscono nuove forme di convivenza nella polis. L’obiettivo di tutti noi non dovrebbe essere, infatti, trovare le vie migliori per una convivenza pacifica e rispettosa?
    Tra le tante questioni che la cronaca, non solo locale, ci spinge a dibattere provando ad adottare tale approccio, vi è in quest’ultimo periodo quella del riconoscimento delle famiglie basate su relazioni di coppia tra persone che non hanno voluto o potuto costituirsi in matrimonio (le cosiddette coppie di fatto) e dei diritti da riconoscersi o meno a tali famiglie.
    Abbiamo totale rispetto delle convinzioni differenti dalle nostre, ma siamo un poco allarmati dal disinvolto modo con cui, a volte, legittime convinzioni sono proposte come unico possibile fondamento di scelte normative (finanche legislative) che interessano tutta la società.
    L’argomento secondo cui le coppie non unite in matrimonio o le coppie omosessuali sono una minaccia alla tenuta sociale ci pare incomprensibile. Come incomprensibile ci appare il richiamo a teorie fatte passare per scientifiche, ma che di scientifico non hanno nulla e che sembrano, piuttosto, un modo per far leva sulla paura di quanti non hanno strumenti culturali adeguati per confutarle.
    Sappiamo bene che la questione chiama in causa principalmente il legislatore nazionale e che proprio per l’inerzia di quest’ultimo le amministrazioni comunali sono state chiamate a supplire con provvedimenti parziali, frammentari e a volte incoerenti con la normativa generale. Proprio per questo pensiamo che sia ora di lasciarci alle spalle la stagione della frammentazione locale dei diritti, in cui le persone ne vedono riconosciuta in modo diseguale l’efficacia e le garanzie in base al loro Comune di residenza. Crediamo pertanto che l’attivismo delle istituzioni locali non debba limitarsi al doveroso obiettivo di eliminare ogni forma di discriminazione, ma possa contribuire a quell’indispensabile ruolo di pressione politica dal basso che insieme alle prescrizioni che giungono dalle norme e dagli standard internazionali, porti finalmente il Parlamento a occuparsi della materia.
    Abbiamo l’impressione che dalla questione non si riesca a uscirne anche perché viene posta in termini sbagliati. Forse si potrebbe provare a reimpostarla lasciando un poco da parte le convinzioni personali – sicuramente legittime, ma da spendere nello spazio dei comportamenti privati – per porci, tutti, l’obiettivo comune di valorizzare i legami solidali, nelle svariate forme che essi assumono nella realtà, quei legami, cioè, che davvero formano la struttura portante della nostra società. Se la nostra complicata vita di umani potrà reggere le sfide ambientali, economiche, politiche dell’oggi e del domani, sarà solo grazie alle forme di solidarietà interpersonale che l’uomo saprà costruire, le quali iniziano là dove i sentimenti più intimi di tenerezza, amore, incontro dei corpi e delle menti si fanno testimonianza del desiderio di abitare il mondo con responsabilità ed empatia.
    L’affettività solidale non è riconducibile esclusivamente alla coppia eterosessuale, come non è riconducibile esclusivamente alla coppia eterosessuale unita in matrimonio. Il perentorio richiamo a una presunta naturalità della famiglia tradizionale, unita nella forma matrimoniale da noi conosciuta e praticata, oltre ad essere un grave errore storico e antropologico e una consapevole menzogna giuridica (la famiglia “come società naturale” riconosciuta in Costituzione è tutt’altra cosa della “famiglia naturale” furbescamente evocata da taluni) è una chiusura rispetto a una visione del mondo ispirata a principi elementari di empatia, comprensione, tolleranza, realismo.
    Sono tante le domande che ci facciamo e alle quali vorremmo provare a rispondere insieme a chi la pensa diversamente da noi. Cosa impedisce a coloro che si dicono contrari al riconoscimento e all’estensione di elementari diritti alle coppie di fatto, eterosessuali e omosessuali, di pensare che la solidarietà affettiva si possa esprimere anche in forme differenti da quelle a cui siamo abituati? E’ possibile trovare i luoghi e i modi di confrontarsi in un dibattito non ideologico? Questi luoghi non dovrebbero essere le nostre istituzioni pubbliche, ai vari livelli per quanto di loro competenza? Possiamo smetterla di dividerci su queste cose in base all’appartenenza o meno a un credo religioso e, invece, unirci in uno spirito di riforma in base alla nostra comune appartenenza a una società democratica e liberale? Riusciamo a considerare in modo laico i pro e i contro dei possibili riforme riguardanti l’istituzione fondamentale della nostra società, la famiglia, considerandola appunto come tale, come un’istituzione sociale che cambia nel tempo e non come un dogma immutabile da difendere da fantomatici attacchi di chi vorrebbe distruggerla? Perché mai aggiornare l’apparato normativo al fine di riconoscere le nuove forme che assumono le famiglie reali dovrebbe scardinare il valore che molti assegnano all’ideale della famiglia “tradizionale”?
    Continuiamo a pensare che riconoscere a ognuno la possibilità, con parità di diritti, di praticare le sue convinzioni, quando queste non confliggano con la libertà degli altri di vivere le proprie, sia l’anima stessa della società democratica. Proprio per questo siamo convinti che, al di là delle recenti posizioni espresse da singoli esponenti del nostro partito (comprensibili se finalizzate a proporre temi al pubblico dibattito, inaccettabili se mirate a vincolarlo e limitarne la concreta praticabilità nelle diverse arene di confronto istituzionale, come forse qualche cofirmatario di destra vorrebbe) il Partito Democratico non possa che restare fedele alla sua vocazione riformista, progressista, laica e liberale, confermando anche a livello locale le posizioni di apertura assunte a livello nazionale ed europeo.
    Ci piacerebbe che trovassimo un lessico comune per riportare le parole da tutti usate – quali tolleranza, comprensione, ascolto – ad un significato condiviso per non rischiare di usarle come vessilli privi di spessore e senso. Ci piacerebbe poter parlare anche della famiglia, tanto dell’idea di famiglia come delle famiglie reali, in termini laici, con rispetto per tutte le posizioni, personali, politiche, religiose, ma anche con il necessario rigore sui fondamenti scientifici delle scelte che hanno ricadute dirette sui diritti e la qualità della vita delle persone. Questo ci proponiamo di fare lunedì 26 gennaio nell’incontro “La democrazia degli affetti”, organizzato dal Dipartimento diritti civili del Partito Democratico Bresciano presso il Caffè letterario di via Beccaria 10 (ore 20,30).
    Quante volte abbiamo letto, sentito e fatta nostra in questi giorni la celebre massima di Voltaire: “non sono d’accordo con te, ma sono disposto a sacrificare la mia vita affinché tu possa essere libero di esprimere la tua idea”. In questo caso forse sacrificare la vita è eccessivo…, ma imparare a non fare della propria convinzione una verità assoluta, questo sì, questo è necessario.

    Adelaide Baldo, Roberto Cammarata                  Partito Democratico – Brescia

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