Il Cidneo e la forma storica di Brixia

La città che oggi ha ereditato questo nome nasce, nella sua struttura politico-urbanistica, esattamente nell’anno 89 a. C.

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01 Forma Coloniae Civicae Brixiaedi Sergio Re
La città si chiamava Brixia e poco ci interessa l’esatta etimologia del nome che risale probabilmente alla notte dei tempi. Partiamo invece da un dato di fatto: la città che oggi ha ereditato questo nome nasce, nella sua struttura politico-urbanistica, esattamente nell’anno 89 a. C.
Fino a quel momento, a nord del Po, se si escludono i centri di Eporedia (Ivrea), Cremona e Aquileia, da un punto di vista giuridico non esistevano città. I centri, fossero vici, civitates o oppida, erano semplici agglomerati abitativi — costituiti cioè da strutture precarie e facilmente deperibili — nei quali una comunità, variamente legata da interessi economici o solidaristici, da consuetudini, tradizioni o convenienze, non sentiva la necessità di una organizzazione legale.
Nell’89 a. C. quindi Brixia esisteva già, ma con la lex Pompeia de Gallia Citeriore acquisì — come altri abitati della Pianura Padana — il diritto latino. La legge (almeno per Brescia) non faceva che dare seguito ad una antica, e per la verità molto solida, alleanza tra Roma e quel popolo Cenomane che occupava i territori nei dintorni del Cidneo. Non è escluso anzi che consacrasse una aspirazione locale, sorretta dalla florida immagine dei municipi e delle colonie che prosperavano a sud del Po. Dall’89 a. C. quindi gli abitanti di Brixia non compariranno più nella epigrafia romana con il nome di Cenomani abitanti di Brixia, bensì con quello di Brixiani.
02 Brescia romana secondo il RossiLa fondazione della colonia, che diventò municipio nel 49 a.C., recò immediatamente benefici giuridici e amministrativi, nonostante il suo carattere fittizio. Ciò significa che da subito le magistrature civili e militari vennero rette dai Brixiani, senza la consueta e cospicua iniezione di cittadini romani. Tuttavia, forse sorretta da presenze sporadiche di magistrati dell’Urbe — tacitamente avviati a temperare la turbolenza del corpo sociale cenomane — la colonia brillò per l’effervescenza del fervore edilizio. Di questa ambizione, della sua nobiltà, ancora oggi conserviamo un segno preciso inscritto in quei ruderi che, nonostante la frammentarietà, ne restituiscono l’innegabile grandezza.
Ma perché Brescia nacque qui, sul declivio meridionale del Cidneo? Molte sono a questo proposito le ragioni che possiamo elencare. Innanzitutto quelle ambientali, il lato nord del Cidneo si sviluppa come una ripida muraglia naturale e costituisce in sé un valido elemento di difesa. Poi ragioni logistiche, una via trasversale di antichissima memoria, di cui avremo ancora occasione di parlare, s’incrociava qui con l’asse di scorrimento est-ovest, che univa la zona veneto-istriana con Mediolanum. Un corso d’acqua, che — pur non essendo navigabile — ebbe nella storia cittadina una funzione propulsiva determinante, lambiva il confine occidentale della città. A tutte queste motivazioni si aggiungono poi quelle climatiche che rendono nel nostro emisfero il declivio meridionale generalmente più ambito di quello settentrionale e per ultimo, non sicuramente come importanza, v’erano probabilmente anche ragioni devozionali.
Non esistono testimonianze certe in proposito, ma il luogo sul quale venne edificato il tempio repubblicano della città romana, che ne diventò il fulcro, era presumibilmente già da tempo considerato dalla popolazione locale luogo sacro. Vi si adoravano divinità delle acque, visto che il culto di Bergimo sembra attestato in cima al colle, o comunque una vasta serie di ninfe, di geni e di folletti che facilmente si confondevano con la nutrita serie di divinità minori del mondo religioso romano. Difficile naturalmente scoprire le dedicazioni, resta il fatto che l’accomodante politica religiosa di Roma, nella creazione di una nuova comunità — con prevalenza di elementi indigeni — aveva tutto l’interesse a rispettare l’ambito sacro già esistente. Si tratta in fondo di una saggezza pragmatica, o meglio di una religiosità pelosa, visto che accanto al luogo sacro fioriva come sempre un mercato, cui faceva capo una fitta rete di associazioni artigiane e professionali che vantavano già loro ascendenze sacrali e che sono ben testimoniate dall’epigrafia locale.
04 Resti del tempio prima degli scaviDopo nemmeno cento anni, sulle rovine del tempio repubblicano, è stato costruito il capitolium. Ed è partendo dai resti di questo secondo tempio, che affioravano in superficie all’inizio del secolo XIX, che sono nate le curiosità archeologiche della città. Gli scavi portarono alla scoperta degli altri edifici romani e culminarono con il ritrovamento della Vittoria alata. Un bronzo maestoso, per cui al tempo andò famosa la città e che fino a ieri era ritenuto opera di artefici romani del II secolo d. C., ma che studi recenti ripropongono come opera originale di artisti greci del III secolo a.C. Priva di ali, la statua doveva rappresentare una Afrodite trasportata a Roma negli entusiasmi della conquista militare e della scoperta della cultura greca. Significativo, per avvalorare la nuova ipotesi, il raffronto della Vittoria alata bresciana con l’Afrodite Capua del Museo Archeologico Nazionale di Napoli (copia di un originale greco della fine del IV secolo a. C.). L’opera, che giunse in Italia verso il 28 a. C., fu probabilmente rimaneggiata, con l’aggiunta delle ali, e fu quindi donata a Brescia circa una ventina di anni dopo, per celebrare la conquista del titolo onorifico di colonia civica Augusta.
05 Pianta e sez. Brescia anticaNei cento anni intercorsi tra la costruzione del tempio repubblicano e la sua rinascita come capitolium, la città crebbe, si moltiplicarono gli abitanti e i commerci, la ricchezza sviluppò una vasta rete di servizi urbanistici specifici e nacque una categoria politica, dimensionata sul modello romano, ma ampiamente radicata nel suo passato celtico. La città si modellò così sui principi di una urbanistica d’importazione, regolò ufficialmente la sua esistenza sui modelli romani, ma nell’intimo (soprattutto della sfera popolare) non riuscì mai a disfarsi delle radici originarie, che riaffioreranno in ogni manifestazione culturale, artistica o religiosa. Di questo periodo restano documenti architettonici di un certo pregio che tutti amiamo presentare come blasone di nobiltà, ma nei loro risvolti, incespicando tra epigrafi (nobili o volgari), tra storie di uomini e di divinità, scopriamo reviviscenze di culti, sentimenti e aspirazioni legate alla storia di un popolo che ha conosciuto da presso la vita delle foreste.
07 Vittoria alataIl discorso allora, per parlare di Brescia romana, deve partire dalle lussuose domus private, dalla Curia (un edificio pubblico a volte chiamato basilica) e dalla vita di quella Brixia, di recente nobilitazione romana, che potrebbe essersi svenata per costruire il complesso del foro-teatro e forse — proprio come opera di evergetismo — ha dato vita anche ad un possibile anfiteatro, del quale si sono perse le tracce. Così come il discorso non può ignorare le opere civili primarie, a partire dal circuito delle sue lunghe mura — i cui fronti, tramite cinque porte, si affacciano su percorsi fondamentali che alimentarono la vita bimillenaria della città —, per finire con la complessa storia delle sue acque, quelle potabili per uso alimentare e civile, che gli ingegneri romani sono andati a raccogliere in Val Gobbia, nonostante la vicinanza della fonte di Mompiano, e quelle non meno nobili usate a presidio igienico della città (solo molto più tardi diventarono anche sorgente di forza motrice per i suoi opifici), fino alla storia misteriosa del porto fluviale di Brescia.
Ma proprio per queste caparbie e inequivocabili radici celtiche sembra più che mai inopportuno indulgere al narcisistico ed illusorio compiacimento di una piccola Roma locale, magari abbagliati dallo spettacolo offerto al viandante che proveniva da Bergamo, quando — al ponte di San Giacomo al Mella (lungo il corso dell’attuale Via Milano) — incominciava a intravedere la cortina delle mura e più oltre il lucore dei marmi pubblici. Perché nel fondo del cuore di questi brixiani non finivano di palpitare, e in fondo nessuno ne faceva mistero, credenze, culti e superstizioni che alimentavano le nostalgie dei soldati lontani, le ambizioni e le aspirazioni dei giovani forestieri venuti a Brescia per cercare fortuna, gettando magari la vita nei combattimenti dell’arena, e il fermo coraggio di chi rifiutava ambiziose carriere per ritornare qui, accomunato a tutti gli altri, nell’attaccamento provinciale, ma umano a questa sua terra ai piedi delle Alpi.

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