Processione dal boss: «non ci si inchina ai criminali»

Don Giacomo Panizza, sacerdote bresciano antimafia, stigmatizza il gesto di riverenza effettuato durante una cerimonia religiosa in Calabria.

(red.) «Il parroco è il responsabile delle iniziative religiose pubbliche. Deve prendere coraggio, anche a costo di non essere applaudito da qualcuno. Ci sono ruoli insostituibili: non ci si può sottrarre ai propri doveri».
Così don Giacomo Panizza, parroco bresciano che dal 1976 vive a Lamezia Terme (Calabria) dove porta avanti “Progetto Sud”, una comunità autogestita insieme con persone disabili e che, dal 2002, vive sotto protezione dopo aver preso in gestione un palazzo confiscato a una cosca, ha commentato il momento in cui la processione della Madonna delle Grazie di Oppido Mamertina, provincia di Reggio Calabria, si è fermata per 30 secondi davanti alla casa del boss della ‘ndrangheta Peppe Mazzagatti, 82 anni, condannato all’ergastolo per omicidio e associazione per delinquere, ai domiciliari per motivi di salute, per “rendergli omaggio”.
I portantini hanno fatto fare alla statua della Madonna un inchino davanti all’abitazione del boss. A quel punto, il comandante della stazione locale dei carabinieri si è allontanato in segno di dissenso, sacerdoti e amministratori locali sono restati al loro posto.
«In quel momento il parroco avrebbe potuto vedere se la gente stava con lui o con il clan», ha spiegtoa don Giacomo. Il sindaco di Oppido, Domenico Giannetta, ha dichiarato: «Se ci sono stati gesti non consoni noi siamo i primi a prendere le distanze ma ci pare che durante la processione sia stata ripetuta una gestualità che va avanti da oltre 30 anni, con la Vara rivolta verso una parte del paese».
«Ovviamente bisogna chiarire l’origine del gesto, se è una ritualità o una reverenza al boss: se così fosse, sarebbe da condannare. Non si può permettere che la religione si inchini alla criminalità», ha commentato don Panizza.
Il legame tra criminalità e religione, in quelle aree, ha spiegato il sacerdote bresciano, è qualcosa di atavico, antropologico, come i concetti di sangue e vendetta dai quali gli abitanti si fanno guidare. «I mafiosi – ha spiegato don Panizza-sono degli imbroglioni con una religiosità loro, che credono essere quella giusta: un esempio? Le madri durante i funerali invocano vendetta. I clan schiacciano e costringono la religione cattolica, le vite dei Santi e i vangeli nel loro piccolo mondo, nelle loro vite, e sono convinti di avere ragione». Secondo don Giacomo, il fatto che religione e criminalità vadano a braccetto antropologicamente si può spiegare, religiosamente no: «Tutto è cominciato ben prima del cristianesimo».
Dall’esperienza di don Giacomo, come riferisce redattoresociale.it, i preti oggi sono molto più attenti e convinti della necessità di condannare episodi come quello di Oppido rispetto a una decina di anni fa: «Oggi, prima di una processione si mette subito in chiaro quali siano le fermate da effettuare: davanti al campanile, per esempio. Oppure di fronte alla casa di una persona che sta per morire o è gravemente malata. Il parroco di Oppido, invece, lasciando che i portantini facessero quell’inchino ha avallato il loro gesto. Così si diventa omertosi: fare come se niente fosse non sta né in cielo né in terra».
Solo pochi giorni fa, Papa Francesco, in visita in Calabria, aveva scomunicato i mafiosi, un atto di fronte al quale lo stesso don Panizza aveva esultato.

Commenti

L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di QuiBrescia, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.