Lettere al direttore

Al “merito” inneggiano i cortigiani del potere

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    L’idea che il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo intenda promuovere lo studente dell’anno o la carta “Io merito”  ha subito acceso la mia fantasia. La promozione del merito non può non risentire di un clima culturale diffuso, che è anche il frutto di una lunga campagna ideologica: quella che come parola d’ordine la meritocrazia e come modello i Paesi anglosassoni.
    Vale forse la pena di citare un autore che nella cultura anglosassone ha avuto un ruolo certamente non inferiore. Ci riferiamo all’Amleto di William Shakespeare (Atto II, scena 2), laddove il principe di Danimarca raccomanda a Polonio di trattare come si deve un gruppo di
    attori loro ospiti, e il ciambellano risponde che li tratterà “come meritano”. Parole che suscitano l’immediata replica di Amleto: “Per il sangue di Cristo, amico, molto meglio! Trattare ogni uomo secondo il suo merito, e chi sfuggirà alle frustate? Trattateli secondo il vostro proprio onore e la vostra dignità:  quanto meno essi meritano, tanto più merito c’è nella vostra generosità”.
    Da notare che a proporre di trattare gli attori “come meritano” è Polonio, personaggio che agli occhi di Amleto rappresenta l’incarnazione stessa della mediocrità; ma una mediocrità non priva di astuzia, che all’ombra del potere si fa strada grazie agli unici veri meriti che può vantare presso il sovrano: conformismo e ipocrisia. Si potrebbe dire, pertanto, che è dai tempi di Shakespeare che a invocare “il merito” sono anzitutto i cortigiani del potere.
    Quello che sta accadendo in Grecia e più in generale in Europa, è un altro esempio di come nel nostro dibattito pubblico parole come “virtù”, “disciplina” e “merito” siano diventate nient’altro che l’ossequio del più debole alla legge del più forte (nel caso specifico, la Germania). Eppure i Paesi dove c’è la maggiore mobilità sociale, dove cioè i figli delle fasce più povere hanno le maggiori possibilità di migliorare la propria condizione di partenza, non sono affatto quelli portati ad esempio dei cantori della meritocrazia (Stati Uniti e Gran Bretagna), ma proprio quelli dell’Europa continentale (dalla Germania ai Paesi scandinavi), dove sono minori le disuguaglianze e più forte il ruolo dello Stato, della politica e dei corpi intermedi.
    La visione della scuola che serve all’Italia è lo specchio di ciò che vogliamo per il Paese. Io penso che non ci sia merito senza equità. Per me la scuola deve lavorare per recuperare divari e svantaggi, far avere a ciascuno studente, non uno di meno, adeguati livelli di apprendimento, conoscenza e competenza per continuare ad apprendere per tuta la vita e per potersi confrontare con i propri coetanei europei in uno scenario globale. Questo prevede in sintesi anche le indicazioni per la scuola la Regione Lombardia. L’Università, supportata da un solido sistema di diritto allo studio per “i capaci e meritevoli, ma privi di mezzi” come chiede l’articolo 34 della Costituzione, deve selezionare in base al merito gli studenti. E’ lì che bisogna selezionare ingegneri che non facciano cascare i ponti o medici che non compiano errori in sala operatoria, economisti che insegnino ad non evadere, giuristi che sappiano scrivere.
    Magistrati e giudici che gli errori paghino di tasca loro e in fine Professori dal liceo all’Università, controllare la loro effettiva capacità degli insegnanti di materie tecniche e scientifiche che riescono ad emozionare e a coinvolgere gli studenti, che siano sappiano l’importanza della passione, dell’emozione nella trasmissione del sapere che attribuisce senso ultimo e significato attivo alla storia collettiva ed individuale. L’insegnante deve innescare nel giovane la passione per il sapere in modo che il suo cammino riveli ambiti creativi inediti e perfino stupefacenti. Mia cara piccola e grande Città Europea, sei ancora troppo provinciale,  e quindi che “merito” devo riconoscerti?
    Expo 2015, era l’occasione di un po’ di ossigeno e un bel salto di sprovincialismo. Ho la sensazione che la Leonessa Brixia è tagliata fuori? E’ tornata la “Milano da bere” sul grande affare Expo 2015? Oggi c’è una patologia diffusa della perdita di ogni limite, tanto che qualcuno dovrebbe scrivere Il disagio dell’inciviltà.

    Celso Vassalini

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