“Napolitano ci aiuti e salvi i piccoli comuni”

Oggi una delegazione è stata ricevuta dal prefetto di Brescia. Inviata una lettera al presidente della Repubblica contro il decreto 138 della finanziaria.

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Sindaci_piccoli_comuni_bresciani(s.s.) I piccoli comuni della provincia di Brescia non mollano la presa e tornano a far sentire la propria voce. Perché, se possibile, la conversione in legge del decreto 138 della manovra finanziaria ha ulteriormente peggiorato le cose per le realtà sotto i cinquemila abitanti. Per questo una delegazione di sindaci venerdì mattina si è fatta ricevere dal Prefetto per consegnarlgli la lettera che nello stesso giorno è stata spedita anche al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Si tratta di una richiesta di aiuto, l’ennesimo tentativo perché il più alto rappresentante dello Stato a Brescia si faccia portavoce del disagio dei piccoli comuni nei confronti del governo. Perché qualcuno dica che a Roma stanno sbagliando tutto. “Ci auguriamo che il Prefetto possa portare la nostra voce ai piani alti. Che possa far conoscere il nostro malessere per questa riforma che sta solo peggiorando, ma anche il nostro orgoglio di essere amministratori di piccoli comuni in cui la politica si esercita solo per passione, non perché ci dà un lavoro”. Così Dario Ciapetti, primo cittadino di Berlingo e portavoce dei firmatari della lettera, ha spiegato le motivazioni che hanno portato, ancora una volta, i rappresentanti dei piccoli comuni a far sentire le proprie ragioni.
La manovra finanziaria imponeva, oltre alla diminuzione dei rappresentanti, che i comuni sotto i mille abitanti si federassero in unioni più grandi per condividere servizi e razionalizzare i costi. Cosa che in realtà molte amministrazioni della provincia di Brescia già sono costrette a fare anche solo per questioni di bilancio, in particolare nelle alte valli. Con in più l’aggiunta, di difficile digestione per i comuni, che siano le unioni a decidere su tutto, anche sul bilancio della singola amministrazione consorziata.
La conversione in legge ha ulteriormente accentuato il taglio di risorse finanziarie ai comuni e ha esteso il patto di stabilità, dalle cui strette e intricate maglie persino la Loggia sta cercando di liberarsi da un pezzo, anche ai piccoli comuni e alle unioni. “Per fare una grande opera sul nostro territorio, dobbiamo pensare di risparmiare soldi per anni per poterla finanziare, ora con il patto di stabilità non sarà più possibile costruire nulla”, ha spiegato Ciapetti.
“Noi già da molti anni rinunciamo alla nostra indennità di sindaco e di amministratori, perciò da tempo la nostra politica è a costo zero per lo Stato”, ha raccontato Franco Monchieri, sindaco di Prestine. “Inoltre il mio comune, che ha 400 abitanti, è già in unione con altri cinque per condividere, e quindi riuscire ad avere sul territorio a prezzi accessibili, tutta una serie di servizi importanti. Ma questa legge ci impone che sia la maggioranza dei sindaci dell’unione a decidere per ogni singola opera, grande o piccola, che ciascuno vorrebbe fare nel proprio comune. Dal rifacimento del marciapiede all’apertura di una scuola”.
E finché si va tutti d’accordo, ognuno riesce a mantenere in qualche modo la propria autonomia, ma nel momento in cui si mettessero di traverso logiche politiche dettate magari dalle campagne elettorali, interi bilanci comunali potrebbero finire bloccati per volere dei sindaci vicini di casa. “Questa manovra ha dimostrato poco rispetto per le istituzioni. Se si vuole modificare la struttura dello Stato, tutti gli enti devono essere interessati e convocati, e invece a noi è toccato solo subire” ha concluso Monchieri.

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