Vescicolare suina: la crisi è nera

Nella Bassa bresciana colpite decine di aziende. E i rimborsi sono inadeguati.


(red.) In un allevamento di suini di Farfengo, nel comune di Borgo San Giacomo, già positivo al virus nelle analisi del 17 ottobre scorso, due giorni fa è stato scoperto un altro caso di malattia vescicolare. Nell’azienda sono stati abbattuti 6.800 maiali, tra cui 250 scrofe riproduttrici.
In tutto sono già a 101.425 i suini abbattuti dal novembre 2006. Nella sola provincia di Brescia, da luglio al 26 ottobre 2007, sono stati elimninati 53.537 capi, il 73% dei suini uccisi in tutta Italia. E’ ovvio quindi che nella nostra zona il settore sia nel baratro: tra Verolanuova, Borgo San Giacomo, Orzinuovi e San Paolo la situazione degli allevatori è nera. Anche perché vendere la carne è quasi impossibile visto che per 28 giorni è vietata la commercializzazione a tutti gli allevamenti che si trovano entro di 2 chilometri da ogni nuovo focolaio. Inoltre c’è chi vuole tutelare le aziende della propria zona: la regione Emilia Romagna, per esempio, ha vietato la macellazione di carni bresciane.
Ma come mai, nonostante le norme sanitarie preventive, il virus della vescicolare suina (innocuo per l’uomo) non viene debellato? La domanda non trova risposte. Si dice che a diffonderlo siano soprattutto i camion per il tasporto del bestiame, anche quelli carichi dei capi abbattutti per debellare la malattia. Qualcuno, come nella peste del Seicento, dà la colpa ai topi.
La Coldiretti cerca di far sentire la propria voce e di coordinare la posizione degli allevatori colpiti dalla crisi: "Rispondiamo no alla proposta di Regione Lombardia e Asl che vogliono abbattere tutti i 40 mila suini allevati nelle 14 aziende presenti nel raggio di 2 chilometri dalla zona critica per la vescicolare, tra San Paolo, Borgo San Giacomo e Orzinuovi", dice il presidente bresciano dell’assciazione, Ettore Prandini. "Questi capi sono sani, e non possono essere rimborsati secondo i parametri utilizzati per i capi infetti: non ci si può limitare al rimborso dei soli danni diretti".
Insomma, c’è un forte problema economico legato ai rimborsi, che sono troppo esigui per affrontare una situazione così complessa e diffusa: "Dobbiamo concordare insieme alla Regione modalità, quantità e tempi degli indennizzi: i danni indiretti sono già arrivati a superare i 30 milioni e i fondi messi a disposizione da Asl e Regione sono inadeguati", insiste Prandini. "In alcune scrofaie, per raggiungere la qualità genetica, servono tre anni di lavoro".
Da tempo i suinicoltori italiani chiedono un piano complessivo di riordino del settore a livello nazionale, con sostegno finanziario per le imprese che investono e sgravi per le stuazioni di crisi. Vogliono inoltre la creazione dell’anagrafe suina (come quella dei bovini) e più controlli sanitari in frontiera, l’etichettatura obbligatoria delle carni italiane e un nuovo sistema di rilevazione dei prezzi.

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