Foscolo, Bettoni e i salotti bresciani del primo Ottocento

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di Mario Ubiali

"Giovedì parto per Brescia a stamparvi qualche cosetta e t'ho aspettato per avere con chi consigliarmi". Il messaggio non è stato scritto da un giovinastro qualunque e fissato alla porta di casa d'un caro amico. E' il gennaio del 1807 e la "cosetta" è uno dei più celebri carmi della letteratura italiana, comunemente noto come "I Sepolcri". La stringata missiva porta la firma di Ugo Foscolo, astro lucentissimo del firmamento poetico ottocentesco, che richiede il consiglio del fidato compagno Vincenzo Monti. E chi si immagina il poeta venuto da Zacinto mentre salta in fretta e furia su una carrozza diretta a Brescia? Facciamo un passo indietro, così da svelare qualcosa di più del rapporto tra questo pater patriae e la nostra tranquilla cittadina.

Il poeta innamorato… delle donne
L'anno 1806 volge al termine. Un freddo e nebbioso inverno circonda la vettura del Foscolo mentre si reca da Milano a Brescia. Da mesi lo scrittore erudito, ma assai indeciso, lavora contemporaneamente a diverse opere, alcune delle quali destinate a restare sostanzialmente incompiute. "Mi accosto alla poesia con la febbre e il ribrezzo con che la Sibilla Cumana accostavasi all'antro del Nume", diceva di sé. Con qualche malizia azzardiamo che quella stessa passione intensa, poetica e discontinua lo avrebbe accompagnato nel rapporto con le donne, amanti disseminate per l'Italia, stregate dalle sue cesellate parole e dall'indole eroica. Anche in quel di Brescia lo aspettava la nobildonna Marzia Martinengo, erede della celebre casata locale e animatrice di uno dei salotti più esclusivi e filo-gallici della città. Il loro fitto epistolario, a tratti romanzesco, testimonia non solamente le attenzioni galanti del poeta, ma anche il travaglio che accompagnò il parto della celebre edizione dei "Sepolcri" datata 1807. Ma perché stampare quell'opera proprio a Brescia? E chi era l'illuminato stampatore che lo stesso Foscolo avrebbe in quei mesi definito "colto ingegno, ed anima gentilissima"?

Il Padrone de' Torchi
Brescia non era all'epoca una remota cittadina senza cuore e cervello. Non solo vi si potevano trovare alcuni dei più eleganti e colti salotti lombardi, ma dal fatidico 1797, anno dell'arrivo di Napoleone, la Leonessa era animata d'un fervente spirito illuministico, tutto innamorato di accademia, cultura e scienza. Il 10 gennaio del 1802 aveva iniziato le sue attività l'Accademia di Scienze, Lettere ed Arti Meccaniche del Dipartimento del Mella, cenacolo di amanti del sapere e belle menti, equamente diviso tra scienziati e letterati. L'Accademia, stabilitasi dapprima nel convento di S.Domenico (in seguito sarebbe passata in Queriniana), lavora alacremente per la ristrutturazione di programmi scolastici e musei, intrattenendo fitta corrispondenza con le altre maggiori istituzioni culturali del Nord Italia. Si provvedeva a catalogare e trasferire in una sede più consona le lapidi romane del Capitolium e a poco a poco prendeva corpo un'idea audace e affascinante: il 16 febbraio del cruciale 1807 il Presidente dell'Accademia, Gian Battista Corniani, proponeva all'assemblea la pubblicazione di un giornale letterario. Nell'entusiasmo che seguì alla proposta si distinse per zelo colui che avrebbe dovuto provvedere materialmente proprio alla stampa del periodico, "Il Valente nostro Accademico Signor Bettoni, che colla eleganza de' suoi tipi ha aggiunto alla nostra Patria un nuovo ornamento". Nativo di Portogruaro, appena 27enne, il brillante ex studente dell'ateneo di Padova aveva impiantato a Brescia la "stamperia dipartimentale", con sede nel Broletto e ben 6 torchi occupati. Egli poteva vantare la capacità di stampare manifesti, annunci di nascita, nozze e morte, almanacchi, inviti, annuari, giornali, opuscoli d'occasione, quaderni e… libri. Foscolo lo avrebbe definito, poco dopo il loro incontro, "il Padrone de' Torchi" e ben quell'espressione si attagliava all'uomo che più di chiunque altro contribuì fattivamente alla vita culturale della Brescia di inizio '800 con le sue carte "veline, sopraffine e sott'imperiali".

L'edizione "incolpabile"
Dunque la gestazione de "I sepolcri" aveva inizio nel novembre del 1806, quando il poeta annunciava ad un amico "Ho bella e preparata una Epistola sui Sepolcri lindamente stampata in carta velina, e con tutte le munditiae bondoniane": una bugia clamorosa, esagerazione non nuova al Foscolo, che in realtà cominciava solo allora un estenuante pendolarismo culturale alla volta della stamperia dipartimentale in Broletto. Per tutto quell'inverno, mentre a Brescia gli si stringevano intorno intellettuali giovani e ambiziosi e le consuete ricche nobildonne, Foscolo rincorreva i capricci del proprio editore, come uno scrittore qualunque. A dicembre l'opuscoletto si era trasformato in qualcosa di più: "Il Padrone de' torchi disse al Padrone de' versi ch'egli invece di un opuscoletto avrebbe voluto fare un libro elegante, e pregandomi ed adulandomi e seducendomi, mi deliberò ad unire all'epistola le mie poesie già stampate, e la versione del primo canto di Omero …".
Fatto questo patto che tanto solleticava l'ambiziosa Musa foscoliana, Bettoni ebbe campo libero per protrarre i tempi d'attesa per ancora qualche mese, mentre Brescia inaugurava un nuovo anno, il 1807. In febbraio "le difficoltà dell'edizione avea spaventato (…) fittamente l'elegantissimo ma inesperto tipografo". La fiducia di Foscolo nel giovane editore cominciava a incrinarsi. Figuriamoci la sua ira quando apprese che in quelle stesse settimane il buon Bettoni aveva trovato il tempo di stampare in quattro e quattr'otto un'ode di Monti (In occasione del parto della Vice Regina d'Italia). "Eccomi un'altra volta a Brescia a sollecitare l'edizione. L'Epistola sarebbe pronta se il tempo concedesse di cilindrarla; ma il 23 marzo piove e nevica ancora… Vincenzo Monti non so come faccia a far presto e bene, pubblica un'ode per la primogenita…". Ma ecco in aprile finalmente il tempo migliora e nei cortili silenziosi del Broletto l'ansioso andirivieni del riccioluto poeta ha termine. L'edizione è stampata e priva di errori: "incolpabile". Foscolo esprime il proprio sollievo in modo piuttosto colorito: "Lode al Diavolo, l'edizione, se non è pronta è stampata… Rileggo i tuoi versi e le tua prosa, e non colgo abbagli tipografici: non così ne' miei versi; ad ogni modo sono di lievissimo momento; l'epistola è incolpabile". E di lievissimo momento era anche la grande Brescia di quell'epoca felice, che grazie a uno stampatore di ventisette anni entrava a buon diritto nella più gloriosa storia letteraria Italiana.

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