Intervista a Luigi Filini, direttore dell’Arpa

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(r.p.) Nei siti inquinati da policlorobifenili e diossine il terreno non si può toccare e non si può utilizzare per le coltivazioni. Nei siti inquinati da policlorobifenili e diossine gli abitanti non possono far giocare i loro figli in giardino, non devono mangiare i frutti dell'orto, sono costretti a utilizzare guanti per potare le rose. Attraverso la terra, infatti, le pericolose sostanze entrano nella catena alimentare, raggiungono i tessuti degli animali da cortile e poi l'organismo umano. L'analisi del territorio è quindi fondamentale e necessaria per comprendere la realtà dei fatti e per avere un'idea precisa su quello che sta accadendo a Brescia. Abbiamo chiesto a Luigi Filini, direttore dell'Arpa (Agenzia regionale per la protezione ambientale), di fare il punto della situazione.
D. Cosa sta facendo l'Arpa?
R. Stiamo operando delle ricerche sui suoli su richiesta del Comune. Proprio nell'ambito di questa indagine sono emersi i dati su Chiesanuova che fa parte di un ampio terreno di ricerca nella zona a Sud della ferrovia. Noi avevamo individuato sei lotti di terreno da analizzare, nel primo di questi c'era Chiesanuova e i risultati sono ormai noti. Ora, alla luce di quanto accaduto, procederemo a carotare le altre aree, situate tra il fiume Mella e il fiume Grande Superiore e comprendenti anche l'area di via Caprera. Il fine è quello di raggiungere il confine comunale, seguendo il percorso delle rogge con un'analisi a macchia di leopardo utile per farsi un'idea generale.
D. A proposito di rogge, è vero che l'inquinamento è stato portato dall'acqua?
R. In realtà gli inquinanti non si sciolgono nell'acqua, bensì si attaccano al materiale particellare in essa contenuto. Tramite, per esempio, l'irrigazione dei campi si spargono poi sul terreno contaminandolo.
D. Quindi non ci sono altre fonti di inquinamento…
R. Ovviamente la cosa non si può escludere. Ma certo le rogge sono state il primo veicolo di diffusione.
D. Si parla della possibilità di cambiare il Decreto ministeriale 471 del 1999, quello che fissa i limiti accettabili nel suolo e nel sottosuolo per quanto riguarda gli inquinanti. Lei cosa ne pensa?
R. L'Arpa si rifà a una nota dell'Istituto superiore della sanità che indica come possibile nuovo limite dei policlorobifenili quello statunitense, ovvero 60 microgrammi per chilo. Attualmente in Italia abbiamo il tetto massimo di un solo microgrammo per chilo, è molto poco se si considera che normalmente nei suoli delle città – e non sto riferendomi soltanto a Brescia – ci sono 20/30 microgrammi per chilo. Il punto, però, a mio avviso non è soltanto la quantità di policlorobifenili, è fondamentale il riferimento alla tossicità equivalente.
D. Cioè bisogna stabilire quale tipologia di Pcb è presente nel suolo?
R. Consideri che la famiglia dei policlorobifenili è composta da 209 sostanze che hanno differenti livelli di pericolosità. Nel decreto noi abbiamo un riferimento per i Pcb totali, non particolari, diversamente a quanto avviene per le diossine. L'Arpa, per esempio, sta analizzando di nuovo una serie di pozzi, gli stessi già indagati nel 2001, solo che stavolta si sta ricercando una famiglia precisa di policlorobifenili, i dodici diossinosimili, la stessa analisi probabilmente verrà in futuro fatta anche sul terreno.
D. Si dice che basti togliere mezzo metro di terra e sostituirla con materiale non contaminato per poter riutilizzare i terreni, è vero?
R. Non posso spingermi a dire che è vero. Noi, a Chiesanuova, abbiamo carotato il terreno fino a una profondità di 35 centimetri, quindi non possiamo dire che al di sotto non c'è inquinamento. I 35 centimetri, però, non sono una cifra presa a caso: nella prima tornata di analisi, quella del 2001, avevamo realizzato una stratigrafia del suolo, vedendo che oltre i 35 centimetri non c'era inquinamento, così ora ci rifacciamo a questa cifra. In realtà le variabili sono molte, per esempio nel caso di terreni di riporto non ci sono certezze. Inoltre anche nell'ipotesi di una rizzollatura bisognerebbe prestare molta attenzione al luogo da cui proviene il nuovo materiale.

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